“Siamo nati in una famiglia dove nostro Padre faceva l’Orefice. Il laboratorio è stato il nostro luogo di divertimento. Lì abbiamo abbiamo giocato. Lì abbiamo imparato. Lì abbiamo cominciato a capire, proprio in modo epidermico,come questo metallo veniva trasformato e diventava un’altra cosa.”
Articoli che parlano di Marco
Marco Casagrande, un uomo d’oro. Di Hélène Blingnaut. Tratto da: Soprattutto, la Rivista del Week End, anno 3, n° 30, dal 30 Luglio al 5 Agosto 1999, p. 65.
Marco Casagrande è un artigiano di Bologna capace di trasformare il metallo più prezioso e splendide pietre in esclusivi “pezzi unici”.
“Sono nato 52 anni fa nel centro storico di Bologna, in quello spazio ristretto che c’è fra via Orefici e il Mercato di Mezzo che fin dal medioevo è il ventre grasso della città, a due passi da piazza Maggiore e San Petronio. E lì sono cresciuto al secondo piano di un vecchio edificio in una casa laboratorio di orafi., l’ultimo esistente a Bologna. Un ambiente urbano dove circolano fruttivendoli e salumieri, il pubblico delle osterie dei dintorni che si mescolano ai turisti e ai vari ministri in visita alla città.
Sono orafo perché mia madre e mio padre gestivano il laboratorio che li aveva visti apprendisti del vecchio Marcello Bertolotti e signora (Erika) che nel 1903 avevano portato qui il laboratorio e l’abitazione”. A parlare è Marco Casagrande, artigiano orafo, persona sensibile: si potrebbe dire un intellettuale della forma e della materia, figlio d’arte. Le sue infatti sono opere nelle quali vive il senso profondo di una cultura antica che si alimenta anche di ricerca interiore e di ricerca di materiali, che soprattutto si esprime in forme di grande valore effettivo.
Nella Pagina Facebook dell’ Ex Ghetto Bologna c’è una recentssima intervista (Giugno 2015) a Marco, che nella foto vedete posare nel suo Laboratorio insieme alla Sorella Carla, che lavora con lui!
Cosa significa per te lavorare nell’Ex Ghetto e perché hai deciso di iniziare un’attività proprio qui? Ci siamo trasferiti qui dopo 99 anni in via Ranocchi, al Mercato di Mezzo. Ci piace qui, siamo veri.
In un’epoca dove la tecnologia e l’industrializzazione penetrano sempre più nella nostra quotidianità, quant’è importante preservare il lavoro artigianale? Bisogna conoscere passato e presente, utilizzare il passato per saper fare e costruire il futuro.
Quali vantaggi si hanno nel contatto umano delle piccole botteghe, rispetto a chi sceglie di acquistare prodotti online? Moltissimi, chi fa vedere di saper fare, oggi è considerato quasi un mago. Questo valorizza il lavoro artigianale.
Quale importanza attribuisci ai mezzi di comunicazione online per promuovere le realtà artigianali e commerciali locali? Bisogna sapersi adattare a questi tempi moderni, chi non comunica rimane isolato in una cupola di vetro.
Il maestro che progetta i gioielli. L’esperienza sotto le Due Torri. Su Mambo – Rassegna Stampa, Articolo di Simone Giglioli, in: A B C – L’Impresa, di Martedì 10 Marzo 2004, p. 9.
Le notizie di questi giorni stanno mettendo almeno in parte, in cattiva luce la figura dell’imprenditore. Ovviamente si fa riferimento a quello della grande industria legato ai mercati finanziari ,a una campagna di questo genere rischia di fare dimenticare i meriti di tanti soggetti presenti sul territorio nazionale , il cui successo è figlio solo di duro lavoro e di maniacale attenzione alla qualità del prodotto. A Bologna , come in tutta l’Emilia-Romagna del resto, sono molte le figure di questo tipo. E alcune di queste portano avanti una tradizione familiare. Prendiamo il caso della Ditta Casagrande Tigrino (nella foto il titolare), un’azienda che progetta e crea gioielli.
Nata all’inizio del ‘900 questa impresa è stata rilevata nel 1837 da Tigrino Casagrande, che già vi operava dal 1917. Dal 1963 le redini dell’azienda sono passate in mano ai figli Carla e Marco. Benché fortemente indirizzata alla creazione di gioielli personalizzati questa piccola realtà bolognese ha come clienti anche enti locali, musei ed università. Formato professionalmente dal padre Tigrino, Marco Casagrande ci racconta il suo modo ricondurre questa azienda nella quale sono tre le persone impiegate.
Come distingue una piccola realtà artigiana come la sua da una che opera a livello Industriale , al di là del volume di affari?
Occorre prima precisare che entrambe hanno come finalità il profitto, incentivo fondamentale per chi vuole svolgere una qualsiasi attività. Detto questo posso dire che una impresa come la nostra punta esclusivamente su quello derivante dalla creazione del nostro prodotto,mentre quella più grande cerca riottenere una rendita anche dal mercato finanziario. Il nostro è quindi un modo di lavorare all’antica, e questo implica un forte legame con la clientela e una conseguente produzione personalizzata, cosa che non è possibile in realtà più grandi.
Come piccolo imprenditore quale crede che siano le caratteristiche che che debba avere una persona per dare vita a a una propria azienda artigiana?
Innanzitutto, è necessario avere un capitale proprio, anche perché spesso le banche non sostengono adeguatamente le imprese nascenti. E’ inoltre fondamentale l’esperienza. Oggi molti neo imprenditori si buttano sul mercato immediatamente dopo aver frequentato qualche corso , senza disporre delle sufficienti conoscenze per farlo. Problema questo che si manifesta particolarmente nei casi di trasferimenti delle aziende, nei quali il nuovo corso dell’impresa viene portato avanti senza che si avvalga di figure fondamentali come quella del vecchio artigiano la cui esperienza aiuta quello giovane a dotarsi della giusta professionalità.
La vostra è una impresa portata avanti da tre persone, non avete la tentazione di crescere?
Data la nostra scelta di essere a stretto contatto con il cliente, abbiamo preferito operare al centro della città, dove gli spazi sono ovviamente più limitati o costosi rispetto a quelli delle aree artigianali. Quando la situazione lo consente esternalizziamo alcune fasi della lavorazione. Rinunciare alla crescita dimensionale significa ricerca di un miglioramento del nostro modo di operare. Utilizziamo gli attrezzi migliori e stiamo sviluppando anche la progettazione e la creazione di prototipi al computer, nonché la presentazione e la vendita on line di apposite linee di gioielli.
I vostri sono prodotti di nicchia. Visto il cattivo stato dell’economia avete notato dei mutamenti o delle valutazioni quantitative nelle richieste dei vostri clienti?
Per quanto ci riguarda la richiesta non è calata quantitativamente. Essendo però calate le risorse a disposizione della gente, in questo momento si preferisce acquistare prodotti più economici, di piccola serie. Il Natale come festa dei doni è cambiato molto in questi ultimi anni, forse perché concomitante con diverse scadenze. Queste cose si fanno sentire per un mercato di nicchia come il nostro. Ma già ora si nota un certo miglioramento nel livello delle richieste e conseguentemente degli affari.
Antiche tecniche di mestieri moderni. Quando il regno vegetale entra in oreficeria. Intervista all’orafo Marco Casagrande. Quotidiano: Bologna Artigianato e piccola impresa dell’Emilia Romagna. CNA n° 227 del 5/12/2004
L’oreficeria è il regno dei metalli, pregiati naturalmente. Ma anche il regno vegetale è stato ed è di grande aiuto per gli orafi. Patate, agli, erbe, alberi sono stati utilizzati quando la chimica non era ancora di casa nei laboratori orafi. “La patata può essere utilissima per raffreddare le pietre – ci spiega Marco Casagrande , titolare insieme alla sorella Carla della ditta di oreficeria ‘Casagrande Tigrino’ in via dell’Inferno 24 a Bologna -. Per saldare l’oro occorre scaldarlo fino a 700 gradi. Il rischio è che se l’oggetto ha inserito una pietra preziosa, questa potrebbe essere danneggiata dal calore. L’acqua non può essere utilizzata per raffreddarlo perché essendo liquida si sparge intorno al gioiello. Allora in passato si tagliava in due una patata, si scavava nella polpa un tassello, vi si inseriva la testa del gioiello e si scaldava la parte esterna in oro , il gambo del gioiello. La patata evitava con efficacia il surriscaldamento della pietra”. “Anche l’aglio era uno strumento di lavoro dell’orefice – prosegue Casagrande – “. L’aglio infatti contiene un liquido colloso che veniva usato per incollare le piccole pietre preziose. Ha la stessa potenzadell’Attack, infatti ci sono gioielli realizzati nel ‘700 e nell’800 ancora oggi incollati col succo d’aglio. Quando oggi li dobbiamo scaldare per manutenzione , si sente nell’aria l’inconfondibile odore dell’aglio”. “Un’altra tecnica tipica del passato in oreficeria era la lucidatura del metallo usando erbe che venivano bruciate. Al termine della lavorazione dell’oro, questo metallo può risultare opaco e necessita di lucidatura. Oggi si usa una spazzola di fili di cotone resi abrasivi con l’aggiunta di grassi ed ossidi. Quando l’ossido non era stato ancora inventato, venivano bruciate erbe le quali, contenendo silicio, avevano la stessa funzione abrasiva”. Casagrande molte di queste tecniche le vedeva usare da ragazzo nell’immediato dopoguerra, quando i materiali scarseggiavano: “ Da un mio viaggio di lavoro in Giappone, mi sono portato in Italia del legno russo, la pavulonia. L’ho bruciato e ridotto a carbone, ed ora mi è utile per la smerigliatura e la finitura del metallo, quando questo è troppo lucido e necessita di un velo opaco per rifinirlo”.
La Sfida verso una Città Creativa – Ammirando una Città in cui l’industria e la Cultura sono Vive. Autore: Prof. Masayuki Sasaki Editore: Iwanami S.P.A, Tokyo 28 Giugno 2001 <pp.45 – 48>
Bologna: città degli artigiani, dell’Università e dei portici. Il sig. Marco Casagrande è un artigiano tradizionale che gestisce il più antico laboratorio d’oreficeria a Bologna.
Da 40 anni lavora come orafo (era anche il mestiere di suo padre) e ha un laboratorio nella zona del mercato nei pressi di Piazza Maggiore, centro di questa città’, di fronte al Palazzo Comunale. Produce e vende anelli, pendant, ecc. su ordinazione insieme a un apprendista, alla moglie (sic.*in realtà la sorella) ed alla madre e crea oggetti d’arte cercando nuove espressioni creative. Alcune sue creazioni sono state esposte in diverse mostre. Dotato di tecnica sopraffina e di superiore sensibilità’, gli altri artigiani hanno grande fiducia in lui e lo chiamano “maestro”: ricopre la carica di Presidente della Sezione Artigiani di Arti Tradizionali del CNA di Bologna. Il suo cognome “Casagrande” significa in italiano “casa grande”, ma il suo laboratorio non si può dire che sia spazioso; anzi le dimensione sono appena quelle di un appartamento giapponese con tre camere, una sala e una cucina. Il palazzo in cui si trova il suo laboratorio risale a ben 500 anni. Ma a Bologna un palazzo così non è considerato molto antico, perché in questa città i palazzi più antichi sono dell’XI e XII secolo, sono mantenuti perfettamente e sono ancora in uso. Questo perché’ il Comune ha stabilito “un piano urbanistico” per conservare perfettamente (con il consenso dei cittadini) le case costruite con i particolari mattoni fatti con terra prelevata in zona e i portici che dai palazzi si affacciano sulle strade e collegano in città’ come un corridoio serpeggiante. Per esempio, secondo il piano urbanistico del 1985, hanno fatto un studio dettagliato sui tutti i palazzi nel centro storico e hanno stabilito sei livelli di restauro per il mantenimento. Per i palazzi di valore storico, come le residenze nobili, le chiese, ecc. sono state stabilite regole più severe e le costruzioni che rientrano in questa classificazione sono oggetto di “restauro scientifico”, incluso i materiali. Siccome il palazzo in cui si trova il laboratorio del Sig. Marco non ha un grande valore artistico-culturale, è’ classificato al terzo livello ed è oggetto di “miglioramento di ambiente e restauro tipologico conservativo”; si può cioè rimodernare l’interno, ma non si può cambiarne la struttura. Con la guida del sig. Marco, ho camminato nel centro storico, visitando alcuni laboratori artigianali. La Basilica di San Petronio è’ situata a destra del Palazzo Comunale. A 600 anni dall’inizio della costruzione, la Basilica resta incompiuta. La metà superiore della facciata è priva di marmo e mancano i due bracci che avrebbero dovuto formare una croce latina. Questo perchè, siccome nell’ Italia medioevale c’erano molti cittadini critici nei confronti del potere papale e il Vaticano non ha più erogato i fondi per la costruzione; i cittadini affermano con orgoglio che da allora Bologna è una “città autonoma contro il potere”. A lato della Basilica, c’è l’Hotel Commercianti, gestito da un amico del sig. Marco. Di recente è stato completato il restauro, seguendo il “piano urbanistico” e l’albergo è appena rientrato in funzione. L’aspetto esterno e la struttura sono immutati, ma l’interno e’ diventato molto bello. Soprattutto gli affreschi all’entrata e nella sala da pranzo sono magnificamente rinati. Questa riparazione di palazzi e di opere d’arte si chiama “restauro” e anche questo lavoro e’ fatto da artigiani come il sig. Marco: in Italia, dove ci sono tanti beni culturali oggetto di restauro, i restauratori sono molto richiesti. Al sud delle “due torri”, simboli della città’ c’è il palazzo della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura; il rilievo che raffigura gli artigiani e i commercianti e’ molto impressionante. Come si può capire dal fatto che l’attuale presidente della Camera di Commercio è il sig. Giancarlo Sangalli, amico del sig. Marco e dirigente della CNA, i protagonisti dell’economia di questa città sono le aziende artigianali. Sulla grande strada che non e’ altro che la via Emilia, oltre alle due torri ci sono banche, cinema e un grande magazzino; a Bologna, dove ci sono tantissimi studenti, ci sono circa cinquanta cinema. Entrando in una stradina a fianco delle due torri, troviamo, uno dopo l’altro, un laboratorio di litografia, una fioreria e una bottega di ceramica; inoltre nella casa in fondo c’è un laboratorio di pelletteria al primo piano e un laboratorio di oreficeria al secondo piano. Anche adesso ci sono vari laboratori artigianali mescolati tra le antiche case di mattoni. Come racconta il sig. Marco, “questa città non ha una bellezza vistosa come Firenze. Ma la luce che entra nei portici crea un effetto particolare; questa bellezza rafforza I’identità dei cittadini e fa maturare la sensibilità degli artigiani.”, Bologna è una città in cui la sensibilità degli artigianati è percepibile nelle antiche strade.
Traduzione di Ai Aoyama
Con la Cna alla scoperta dei mestieri della tradizione. Marco Casagrande: Un Orafo per amore con mani da chirurgo. Intervista di Franco Basile, dal Resto del Carlino, Pagina IX Cronaca, Giovedì 9 Febbraio 2006.
L’Artista. Gli strumenti che Marco Casagrande usa sono contenuti in un armadietto pieno di cassetti e cassettini che è lo stesso che usava suo padre Tigrino. Del suo lavoro spiega che “permette di lavorare per i sentimenti”.
Camminano lentamente, esaminano una cartina dove è tracciato il reticolo del centro, piegano di 45 gradi e spingono l’occhio fin sulla sommità degli Asinelli. Tra le cose del passato viene spontaneo ai turisti l’esercizio della suggestione. La città nascosta è per pochi, bisogna conoscerne le pieghe per rintracciare angoli che sono un lungo resoconto del tempo come le vecchie botteghe degli orafi, dei restauratori , dei battitori di ferro, dei liutai. Chi visita Bologna legge le cose sugli opuscoli, magari approfondisce certe scritture immergendosi nel clima di una chiesa o seguendo indicazioni incise su lapidi che sono un pietroso rimbalzo tra memoria e presente. Soprattutto, indugia a lungo sotto le torri arrampicando la vista lungo il cotto, quella parete di mattoni incupiti dalle ombre della sera o esaltati da un tramonto che ne accentua il vermiglio della trama.
Da una torre all’altra la vista si sposta come in un ping pong dello stupore. La geografia della cultura manuale è sensibilmente mutata. Una volta molte strade del centro erano connesse ai mestieri , allo svolgersi di attività praticate dai maestri che si tramandavano idee e segreti di generazione in generazione. C’erano strade dove operavano orefici, calzolai, tessitori, dove si facevano spade e coltelli. C’erano punti con insegne che indicavano la via a chi non sapeva leggere, tipo grossi pesci in arenaria (via dal Luzzo), castellate dove si trovavano osterie e locande, disegni arborei su lastroni all’altezza di spezierie. Molti di questi angoli sono scomparsi, di alcuni sono rimasti i nomi e quindi rimpiazzati da banche, pizzerie, ristoranti esotici e agenzie immobiliari. Sotto l’Asinelli è stato istituito un punto di riferimento per l’artigianato, una vetrina aperta non solo al ricordo ma anche e in particolare a chi ancora opera nel settore della manualità artistica. Qui, a rotazione, espongono le loro creazioni ceramisti, orafi, restauratori, incisori, molti dei quali sono riusciti a rimanere nel centro storico , come Marco Casagrande, figlio di Tigrino, orafo per amore di qualcosa che – riportiamo parole sue – “permette di lavorare per i sentimenti”. Niente di seriale in una manualità destinata solo alla personalizzazione e alla creazione di un numero incredibile di gioielli. I Casagrande hanno il laboratorio nell’ex Ghetto ebraico. Dal 1937 e fino a qualche anno fa avevano operato in vicolo Ranocchi, da dove se ne sono dovuti andare per motivi contrattuali e anche perché un giorno il soffitto cedette proprio sulla testa di Marco. Una volta sola quando ancora non c’era la luce elettrica, gli ambienti di lavoro erano situati il più in alto possibile. Dalle finestre dell’antico vicolo si potevano inquadrare tre punti: la facciata dell’Albergo del Sole, un cortile interno e uno spicchio della Chiesa della Vita e, mettendosi un po’ di traverso le Due Torri. Ora,nell’ex Ghetto, visioni e ricordi lasciano via libera a sensazioni che non intralciano il percorso della creatività. Da vicolo Ranocchi l’eco del tempo si protrae nelle cose che Marco si è portato dietro. Un armadietto con cassetti e cassettini per pietre e legnetti fossili, un banco circolare per tre persone, materiale vario tra cui occhiali per la chirurgia ottimi per cesellare, una sorta di maschera con lenti che permettono all’orafo di ripercorrere le venature della materia e alla madre Giovanna,novantatreenne, di leggere il giornale.